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Monastero dei Benedettini

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Oggi sede del DiSUM dell’Università degli Studi di Catania, il Monastero è un luogo unico che racconta le vicende umane e storiche della città dell’Etna dall’antichità fino ai giorni nostri. Gioiello del tardo barocco siciliano e complesso benedettino tra i più grandi d’Europa. L’edificio monastico, che nasce nel ‘500 e si sviluppa fino ai giorni nostri, è un esempio di integrazione architettonica tra le epoche: contraddistinto da molteplici trasformazioni oggi è patrimonio mondiale dell’Unesco. Custodisce al suo interno una domus romana, i chiostri e uno splendido giardino pensile.

Il XVII secolo catanese è legato alla terribile colata lavica del 1669 e dal catastrofico terremoto del 1693. L’8 marzo del 1669, dopo ripetute scosse sismiche e assordanti boati provenienti dalla Montagna – l’Etna, si aprono due profonde fenditure da cui esce lava. Si alzano colonne di fumo, in seguito alle esplosioni vengono scagliati materiali piroclastici: l’Etna è in eruzione, il vulcano dimostra tutta la sua potenza. La colata raggiunge la cinta muraria della città intorno la fine di aprile, giungendo fino alle mura del monastero cinquecentesco. La città era stata difesa strenuamente utilizzando muri per deviare il fiume di fuoco che l’assediava. Il monastero si salva, ma non la chiesa ad esso annessa: viene sconquassata dall’arrivo della colata. Cambia fortemente l’aspetto dei terreni limitrofi al Monastero dei Benedettini. La sciara è alta 12 mt circa e ha divorato le coltivazioni lasciando dietro di sé un paesaggio lunare.

Nel 1687, ben 18 anni dopo l’eruzione, incomincia la ricostruzione della chiesa annessa, plausibilmente su disegno dell’architetto romano Contini. Il Monastero del cinquecento era costituito da un piano interrato, destinato a cantina e deposito delle derrate alimentari e a cucina; e due piani destinati ad accogliere le celle dei monaci, il capitolo, il refettorio, la biblioteca e il parlatorio oltre che il chiostro dei Marmi. Nella notte tra 10 e 11 gennaio del 1693 Catania trema. Il terremoto del 1693 viene considerato uno dei cataclismi naturali più devastanti per la Sicilia orientale: il Val di Noto viene raso al suolo. Secondo gli esperti le scosse raggiunsero magnitudo 7,7 della scala Richter. All’indomani del terremoto la città è distrutta e gran parte dei catanesi è sepolta sotto le macerie. Del Monastero cinquecentesco resta integro il piano interrato e parte del primo piano.
Del chiostro restano erette 14 colonne le altre cadono giù e si spezzano. A partire dal 1702, sono trascorsi ben 9 anni dall’evento catastrofico, inizia la ricostruzione e il Monastero viene ripopolato da monaci provenienti da altri cenobi. Ingrandito rispetto alle pianta primigenia: al Chiostro dei Marmi o di Ponente ricostituito e rinnovato da elementi tardobarocchi, si aggiunge il Chiostro di Levante, con il giardino e il Caffeaos in stile eclettico, e la zona nord con gli spazi destinati alla vita diurna e collettiva dei monaci: la biblioteca, le cucine, l’ala del noviziato, i refettori, il coro di notte. Si sfrutta il banco lavico per realizzare i due giardini pensili, l’Orto Botanico – la villa delle meraviglie – e il giardino dei Novizi.
La chiesa di San Nicolò l’Arena, annessa al nuovo plesso monastico, viene pensata come una piccola San Pietro siciliana, ma resta incompiuta nel prospetto principale. Ingrandito, decorato, rimaneggiato il Monastero diviene uno dei conventi più grandi d’Europa, secondo, tra quelli di ordine benedettino, solo a quello di Mafra in Portogallo. Al cantiere benedettino partecipano i grandi architetti siciliani: Ittar, Battaglia, Battaglia Santangelo, Palazzotto.
Le maestranze vengono chiamate da tutte le provincie: Palermo, Messina, Siracusa. Tra i più importanti architetti si annovera Giovan Battista Vaccarini, a cui si deve la realizzazione delle Cucine e del Refettorio grande, oltre che il progetto della Biblioteca (oggi Biblioteche Riunite Civica e Ursino Recupero).


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L’architetto palermitano aveva studiato a Roma venendo dunque a contatto con i grandi architetti quali Fontana, Michetti, De Sanctis. I suoi punti di riferimento e di ispirazione restarono Bernini e Borromeo che aveva studiato con passione e a cui sovente si rifaceva. Nel 1866 con l’emanazione e l’applicazione delle “leggi eversive”, il Monastero dei Benedettini diviene demanio regio. A partire dal 1868 vengono riadattati gli spazi adibiti ai cosiddetti usi “civili”. Si trattava prevalentemente di scuole, tra cui la più rinomata era l’Istituto Regio Carlo Gemmellaro, ma viene anche allocata la Caserma Militare (nell’ala sud e nel cortile) e l’Osservatorio Astrofisico con il laboratorio di meteorologia e geodinamica (Cucine e Ventre oggi Museo della Fabbrica).
Le nuove destinazioni d’uso sono origine di una serie di profonde, e alle volte irreversibili, modifiche che il Monastero subisce nonostante il suo riconoscimento, all’indomani dell’Unità d’Italia, come Monumento Nazionale. Vengono cancellati buona parte degli affreschi, divisi i corridoi, soppalcati i tetti, introdotte superfetazioni per fare spazio ad uffici, palestre, latrine. L’Orto Botanico di quasi 5 ettari viene lottizzato e destinato ad accogliere i padiglioni del nuovo ospedale dedicato al re d’Italia, Vittorio Emanuele. La Chiesa di San Nicolò che vive il suo ultimo momento di gloria con il Rettore Della Marra, incaricato personalmente dal cardinale Dusmet (ultimo abate del Monastero dei Benedettini di San Nicolò L’Arena), diviene bene di culto quindi in uso del Comune di Catania. La sacrestia, realizzata anch’essa dal Vaccarini, accoglierà il Sacrario dedicato ai caduti delle due guerre. Solo la bellissima biblioteca monastica viene risparmiata.
Alla raccolta libraria dei monaci, che include splendidi erbari, cinquecentine e bibbie miniate, si sommano le collezioni di altri ordini soppressi e di privati. Le Biblioteche Civiche Riunite Ursino Recupero oggi si compongono di tre principali ambienti: la sala lettura realizzata all’interno del museo dei benedettini, la circolare sala convegni, corrispondente al Refettorio Piccolo, e la sontuosa Sala Vaccarini, con le scaffalature lignee e gli affreschi alle pareti (in cui ancora oggi si trovano la collezione originaria del Monastero)
Destinato ai nuovi usi e alle esigenze dell’Italia Unita, il Monastero dei Benedettini viene quasi dimenticato, alla magnificenza benedettina, nell’immaginario cittadino, si sostituisce la sede delle scuole simbolo di un Italia che tenta di “fare gli italiani”. Solo nel 1977 nell’ambito di riqualifica del centro storico della città, il Comune di Catania dona il Monastero dei Benedettini all’Università degli Studi di Catania, che lo destina a sede della storica Facoltà di Lettere e Filosofia. Il progetto di recupero porta la firma dell’Archistar Giancarlo De Carlo, grazie al quale nel 2008 il Monastero viene riconosciuto dalla Regione Siciliana quale Opera di Architettura Contemporanea. «Un progetto – scrive De Carlo – che preferisce togliere piuttosto che aggiungere, ritoccare piuttosto che sostituire, stendere una rete tra le parti piuttosto che giungere a una ridefinizione dell’insieme per punti’+«».
Alla visione lungimirante dell’architetto, del Preside Giarrizzo e dell’Ufficio Tecnico d’Ateneo si deve oggi la restituzione del bene culturale alla comunità, che inoltre dal 2002 diviene Patrimonio dell’Umanità insieme ad altri siti seriali che l’Unesco identifica come rappresentativi del tardo barocco della Sicilia sudorientale. Il recupero e l’adattamento del Monastero a sede universitaria, durato trent’anni, ha riportato alla luce il palinsesto della città dall’età romana ai giorni nostri: un intero quartiere romano, disegnato dagli assi viari Cardum e Decumanus Maximus e dalla presenza di domus di età tardo ellenistica e di epoca imperiale. Gli scavi sono visibili nel cortile principale e sotto il plesso delle ex scuderie (oggi aule per la didattica).In particolare una domus con peristilio è custodita all’interno dell’attuale Emeroteca universitaria, integrata perfettamente alla fabbrica cinquecentesca e alle strutture sospese contemporanee che permettono l’accesso agli studenti.


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